
Chi non ricorda, almeno vagamente, cosa stava facendo quel dannato pomeriggio di 7 anni fa? La mia rimembranza, non troppo delineata, mi suggerisce un soleggiato dopopranzo al parco giochi dell'oratorio con mia sorella e alcuni amici, a fare tutte quelle cose innocenti e spensierate comuni ai bambini di 11 anni. Poi qualcosa di vano mi fece tornare a casa; fu lì che trovai mia madre paralizzata davanti alla TV, mentre le immagini confuse scorrevano sullo schermo. Non capivo, non era facile per nessuno comprendere la gravità di quella situazione, che si nitidizzò solo diversi mesi più tardi.
Non voglio ripetere un inutile e strappalacrime memoriale, bensì esprimere il mio pensiero riguardo alle conseguenze, più o meno indirette, di quell'avvenimento. Premessa: sono fortemente contrario alla politica economica (ma non solo) americana, frutto troppo maturo -oserei dire quasi marcio- di un ultraliberismo sfrenato. L'attentato terroristico è assolutamente condannabile e in alcun modo giustificabile, ma credo che quei 3000 morti vadano sommati a tutte le altre vittime che la follia capitalista miete quotidianamente, soprattutto nei paesi del cosiddetto "Terzo Mondo". L'azione infatti, per quanto deprecabile, è da considerarsi conseguenza estrema delle politiche degli Stati Uniti (e dei suoi satelliti tra cui il nostro Belpaese) riguardo i paesi sottosviluppati e in particolar modo il medioriente, terra sottratta illegittimamente agli abitanti nativi, su cui è stato imposto uno stato filoamericano pensando di sbrigare così il millenario problema della diaspora ebraica. Volgiamo un pensiero, ogni volta che Bush si finge commosso alle vittime americane -di cui è secondo responsabile dopo Al Quaeida- anche a tutte le madri palestinesi che si sono viste sfrattare di casa, gettare coi propri bambini nei campi profughi in condizioni a dir poco miserevoli. Loro, come gli israeliani vittime del terrorismo consequenziale, sono da sommare ai 3000 morti innocenti dell'11 settembre.
E come non annoverare in questa tetra algebrica anche i morti della folle guerra in Iraq, civili e militari americani scandalosamente adescati in campagne a dir poco viziose, portate avanti dal governo americano tra i giovani disagiati dei sobborghi metropolitani. Pensiamo anche alle loro madri, quando la faccia di culo di Bush retorizza la sofferenza.
Quanti morti dovremo ancora contare, prima che ci si decida a cambiare strada, a capovolgere questo sistema dissennatamente iniquo? A chi spetta questo increscioso compito? Alla massa indistinta - e non solo "operaia" come suggerisce qualche atavico idealismo -? Ai Presidenti dei paesi occidentali (sicuramente il nostro attuale è troppo impegnato a escogitare soluzioni alternative a riguardo, quindi è scusato per la sua nonchalance)? Solo il tempo potrà dirlo. Nel frattempo, contiamo.
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